Serve una scuola capace di far restare umano chi vivrà accanto all'intelligenza artificiale
- Redazione
- 16 mag
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Serve una scuola non solo capace di “insegnare a usare” l’IA ma capace di formare chi sappia restare umano accanto a lei.
Perché non basta essere “ veloci” ma è necessario restare umani .
di Emanuela M. De Leo e Katia Arrighi
Inizia tutto con un nome e “ LUI “ ha scelto Leone, in ossequio a Leone XIII. Detto così, sembra solo una dedica ma chi ha orecchio per certe cose capisce subito che non è un vezzo ma è un segnale.
Quando Papa Leone XIV si è affacciato sul mondo ha evocato un predecessore che, più di un secolo fa, aveva osato toccare le crepe dell’industria nascente.
Ora tocca a lui parlare al cuore del nostro tempo: un tempo in cui il lavoro non manca, ma manca il senso del lavoro perché qualcosa si è rotto o, forse si è solo consumato, lentamente.
Il capitalismo, che per decenni ha promesso libertà e benessere oggi lascia dietro di sé solitudini, diseguaglianze, velocità che schiaccia e se il socialismo, nella sua versione storica, ha mostrato i suoi limiti – nel controllare troppo, nell’appiattire tutto – il presente sembra orfano d’idee nuove o meglio, di idee incarnate.
Leone XIV parla con un tono quieto, mai aggressivo ma le sue parole pesano.
Se chi siede sul soglio di Pietro sostiene che l’intelligenza artificiale modificherà le nostre società più di quanto abbia fatto la rivoluzione industriale, quest’affermazione suona come una sveglia per chi ancora crede che l’IA sia solo una moda passeggera o un tema da convegni.
No, dice il Papa: è una questione morale. Ed è urgente.
Perché nel frattempo succede questo: i robot imparano a guidare, a scrivere, a diagnosticare e milioni di persone si chiedono cosa resterà da fare per loro non solo sul piano economico ma su quello umano.
Se il lavoro perde centralità, che ne sarà della dignità? Se le macchine diventano più efficienti, chi difenderà il valore dell’inutile, del fragile, del lento?
Leone XIII, nel 1891, scriveva l’enciclica Rerum Novarum per dare un linguaggio nuovo a un mondo che cambiava.
Nella Enciclica lui parlava di salari giusti, riconosceva che i lavoratori hanno il diritto di associarsi per difendere i propri interessi, difendeva la proprietà privata come diritto naturale, condannando l'accumulo egoistico della ricchezza e ricordava che i beni devono essere usati anche per il bene comune. Oggi Leone XIV sembra fare la stessa cosa: afferrare per le spalle un mondo in transizione e obbligarlo a guardarsi allo specchio.
Non lo fa da solo.
La nota Antiqua et nova, pubblicata pochi mesi fa, aveva già messo le mani nella ferita evidenziando come un’intelligenza priva di saggezza, capace di potenza ma incapace di pietà, possa diventare una forma nuova di tirannia. Una riflessione che sembra scritta per chi crede ancora che i codici siano neutrali e gli algoritmi innocenti.
Ma Leone XIV fa un passo in più.
Dice che “La Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’IA, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro”. Una Dottrina che non si limita a prendere posizione dopo i fatti, ma che aiuta a immaginare prima quali siano i rischi e le promesse del futuro, non per tornare indietro, ma per non finire schiacciati in avanti.
In mezzo, torna forte un’idea: quella del limite. Una parola che nel nostro tempo sembra quasi sospetta perché siamo cresciuti dentro la logica dell’infinito: più crescita, più velocità, più potenza ma il limite non è nemico dell’uomo: è la sua salvezza, perché senza limite, tutto diventa merce, anche il tempo, anche i corpi, anche l’anima.
L’uomo non è degno perché lavora ; è degno perché esiste e questo basterebbe se solo ce lo ricordassimo.
Ecco, forse è questa la vera “amnesia” del nostro tempo: non l’ignoranza tecnica ma la dimenticanza dell’umano e l’aver scordato che non siamo solo produttori, consumatori, utenti ma esseri in relazione capaci di amare, di curare, di immaginare e che tutto questo non si può codificare, né comprare.
Per questo serve anche un’altra scuola. Non solo capace di “insegnare a usare” l’IA ma capace di formare chi sappia restare umano accanto a lei.
Serve chi sappia pensare, dubitare, fare silenzio. Chi sappia dire no quando serve e chi sappia riconoscere che non tutto ciò che è possibile è anche giusto.
La politica, in tutto questo, resta sullo sfondo ma non per disinteresse ma piuttosto perché bloccata tra emergenze e slogan. Il compito, allora, passa anche ad altri: passa alla Chiesa, alla filosofia, all’arte, all’educazione , a chiunque abbia ancora voglia di farsi carico delle domande vere.
Leone XIV, con il suo nome antico, ci ricorda che la storia non è finita. Che c’è ancora spazio per una parola libera e forse è proprio questo il segno più forte del suo pontificato nascente: aver riportato la Chiesa là dove deve stare : al margine fecondo dove si costruisce il futuro.
E se, in tutto questo, anche l’intelligenza artificiale deve fare la sua parte – come strumento, come specchio, come provocazione – allora è giusto che anche lei venga chiamata a rispondere senza paura ma con coscienza.
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