Olimpiadi e Esport verso Riyadh 2027: organizzare lo sport tra realtà, schermo e comunità
- Redazione
- 13 giu
- Tempo di lettura: 4 min

A cura di Emanuela Mirella De Leo - Segretario generale OINP
Per la prima volta, il Comitato Olimpico Internazionale apre il proprio spazio a discipline che non si fondano sul corpo, ma sulla mente, sul riflesso, sull’interazione digitale.
Riyadh 2027
Organizzare un grande evento sportivo oggi significa affrontare un intreccio complesso di logistica, sostenibilità, diritti, intrattenimento e tecnologia. È una questione che va ben oltre le competizioni. Le Olimpiadi di Parigi 2024 e la Esports World Cup tenutasi quasi in contemporanea a Riyadh, mostrano due modalità profondamente diverse, ma ormai convergenti, di pensare e strutturare un’esperienza globale.
Parigi ha segnato un punto di svolta nel modello olimpico, puntando su un’organizzazione snella e su una riduzione concreta dell’impatto ambientale. Il 95% delle strutture utilizzate era preesistente o temporanea. Il villaggio olimpico, costruito con materiali riciclabili e dotato di sistemi energetici efficienti, è in fase di riconversione per diventare un quartiere abitativo. Anche la cerimonia d’apertura, per la prima volta fuori dallo stadio, si è tenuta lungo la Senna, trasformando la città in scenografia e abbattendo la necessità di strutture aggiuntive. Un messaggio forte: le Olimpiadi possono essere sostenibili, urbane, integrate come d'altra parte sostenuto nella Agenda ONU 2030.
La Esports World Cup, che si è svolta a Riyadh proprio mentre Parigi ospitava i Giochi, ha mostrato un altro modello di evento globale: leggero nelle infrastrutture, ma capillare nella diffusione. Nessun impianto permanente, arene temporanee e milioni di spettatori collegati in tempo reale su Twitch, YouTube, Kick. È una logica distribuita, fondata sulla rete e sull’interazione, dove il valore non sta nella monumentalità, ma nella portata virale. Questo non vuol dire assenza di impatto ambientale: le server farm e lo streaming continuo hanno un peso energetico notevole, ma si sposta nel tempo e nello spazio, ed è ancora poco misurato.
Anche sul piano dell’inclusione i due mondi si muovono in modo differente. Parigi ha garantito l’accessibilità fisica e ha confermato il proprio impegno a ridurre le distanze tra Olimpiadi e Paralimpiadi, pur mantenendo due eventi distinti. Negli e-sport, invece, la distinzione semplicemente non esiste. Gli strumenti di gioco si adattano alle diverse abilità, e la performance non è legata al corpo in senso stretto. Durante la World Cup, un giocatore con gravi disabilità motorie ha vinto una delle competizioni con un controller personalizzato, senza eccezioni regolamentari. In questo ecosistema, l’inclusione è parte integrante del gioco stesso.
Ma l’aspetto forse più delicato riguarda la governance. Le Olimpiadi sono regolate dal CIO e da federazioni autonome. Gli e-sport, invece, ruotano attorno ai publisher privati, che detengono i diritti sui giochi e ne controllano le regole, gli aggiornamenti, le piattaforme. Durante la World Cup, ad esempio, un aggiornamento al gioco “Valorant” ha modificato dinamiche importanti a pochi giorni dalla competizione. Una cosa impensabile in una disciplina olimpica, dove le regole restano ferme per l’intero ciclo. È un nodo cruciale: se la competizione è soggetta alle logiche di un prodotto commerciale, quanto può dirsi “sportiva” in senso pieno, anche dal punto di vista organizzativo?
I mezzi di diffusione riflettono queste differenze. Parigi ha ancora puntato su televisione e grandi network. Riyadh, sugli streamer e sulle piattaforme digitali. Le Olimpiadi raccontate con la solennità del commento istituzionale; la World Cup rilanciata da migliaia di voci indipendenti, spesso più seguite delle testate tradizionali. È un cambio di paradigma: il pubblico non è più solo spettatore, è anche cronista, opinionista, meme maker. Lo sport digitale non si consuma, si co-costruisce.
Tuttavia, un punto d’incontro esiste. In entrambe le manifestazioni, la figura dello psicologo è diventata centrale. A Parigi, molte federazioni hanno inserito team specializzati per supportare gli atleti sotto pressione. Negli e-sport, è ormai una prassi consolidata: giovani player, esposti all’iperconnessione, al giudizio continuo, a carriere brevissime, hanno bisogno di supporto costante.
E non è un dettaglio: l’annuncio che nel 2027, ancora a Riyadh, si terranno le prime Olimpiadi degli e-sport ufficiali sotto l’egida del CIO ha formalizzato questa evoluzione. Non solo verrà riconosciuta la dignità olimpica del videogioco competitivo, ma sarà anche regolamentato un modello organizzativo che tenga conto della salute mentale, della parità di accesso e della coesistenza tra sport, impresa e cultura.
Questo passaggio rappresenta qualcosa di più di un esperimento: è un salto simbolico. Per la prima volta, il Comitato Olimpico Internazionale apre il proprio spazio a discipline che non si fondano sul corpo, ma sulla mente, sul riflesso, sull’interazione digitale. È il riconoscimento di una trasformazione che non si può più ignorare. Gli e-sport non sono l’anti-sport. Sono un’altra declinazione del desiderio di competere, eccellere, connettersi.
Organizzare eventi sportivi oggi significa muoversi in questa tensione. Vuol dire garantire che un impianto sia riutilizzabile e che una piattaforma digitale sia sostenibile. Vuol dire assicurare regole stabili, ma anche sapere che in certi ecosistemi le regole vivono con il prodotto. Significa pensare a una comunità globale, dove chi guarda partecipa, dove chi compete ha bisogno di supporto psicologico, dove chi investe può essere tanto uno Stato quanto una software house.
La sfida per il 2027 non sarà solo organizzare bene. Sarà costruire un linguaggio condiviso, capace di far dialogare la retorica olimpica con l’eclettismo degli e-sport, la regola con l’algoritmo, il gesto atletico con il click. Se riuscirà, Riyadh potrebbe diventare la prima città a ospitare due eventi che – pur opposti per forma – stanno imparando a riconoscersi parte dello stesso mondo. E lo sport, da sempre specchio delle società, ci racconterà ancora una volta chi siamo. Solo che stavolta lo farà anche attraverso uno schermo.