di Emanuela Mirella De Leo
Gli eSports, competizioni videoludiche su larga scala, stanno guadagnando sempre più popolarità in tutto il mondo, attirando sia giocatori che spettatori prevalentemente tra le giovani generazioni. Tuttavia, dietro le quinte del sistema e nonostante proprio la fascia di popolazione maggiormente interessata al mondo degli Esports sia giovanile, una questione che emerge è il gender gap, con una significativa sotto-rappresentanza delle donne in questo settore, non solo dal punto di vista delle giocatrici ma anche da quello delle lavoratrici, a vario titolo parti del mondo del gaming.
Quali le cause di questo fenomeno? Sicuramente molteplici e complesse.
La pandemia ha scoperchiato il “vaso di Pandora “ degli eSports: se fino quel momento il fenomeno, almeno in Europa, era considerato “di nicchia”, nel 2020 ci si è trovati di fronte a un nuovo mondo che ha coinvolto fasce di popolazione cresciute esponenzialmente in pochi mesi. E tra i dati emersi, tra le altre, da un’indagine condotta da IPSOS è interessante notare che in Germania, Francia, UK, Italia e Spagna su 118 milioni di giocatori totali, il 47% è donna e il 53% è uomo. Un dato più che lusinghiero, parlando di parità di genere e confrontandolo, ad esempio, con altre realtà sportive “tradizionali”. Qual è il paradosso allora? Solo il 23,7% dei lavoratori impegnati nell’industria del gaming è rappresentato dalle donne. E su questo dato occorre riflettere per compiere un’analisi approfondita e individuare origini e soluzioni.
Innanzitutto, e nonostante i videogames permettano di superare le barriere fisiche e geografiche presentandosi come global per eccellenza, il gender gap è tuttavia un fenomeno radicato a livello culturale già dall’infanzia, proseguendo nell’adolescenza e stabilendosi negli anni e nelle scelte universitarie.
Proprio in quest’ultimo ambito si registra un divario di genere importante che si riflette sull’impiego delle donne nel mondo del gaming: la mancanza di competenze STEM tra le donne, sebbene si stia riducendo negli ultimi anni, costituisce un ostacolo rilevante in prospettiva perché la disparità di genere tra studenti e studentesse che studiano per creare i videogiochi -sia dal punto di vista dello sviluppo che della grafica-, si riflette sul successivo impiego nel settore. Come per altre discipline STEM, le ragazze ancora oggi considerano lo sviluppo di videogiochi come poco creativo, per cui più legato all’universo maschile.
Tale convincimento, radicato come detto in precedenza, nella cultura di base, persiste anche all’interno della comunità dei videogiochi caratterizzata da un maschilismo che perpetua stereotipi nella narrazione delle storie dove molto (troppo) spesso le donne hanno sembianze procaci, sono poco vestite e prive di particolare rilevanza all’interno della narrazione: i giochi, in sostanza sono creati “dagli uomini per gli uomini” e questo costituisce sicuramente una criticità che sfocia in episodi di cyberbullismo, con casi di discriminazione più o meno gravi, che scoraggiano le donne nell’accesso e nella permanenza all’interno delle community di players. Inevitabile la ricaduta a cascata: le donne giocano, è vero, ma solo a livelli amatoriali, con una scarsa presenza di pro-players donne di alto livello (quindi di modelli di riferimento) le quali, peraltro, sebbene in crescita, continuano ad essere sottopagate rispetto ai colleghi uomini.
Quali soluzioni per Ridurre il gender gap negli eSports?
Per affrontare l’argomento, è necessario un approccio multiforme.
Innanzitutto occorre partire dall’infanzia, con politiche che mirino in maniera costruttiva a far accettare “la cultura degli Esports” eliminando il pregiudizio nei confronti della pratica dei videogiochi, ritenuta non costruttiva o addirittura negativa. I videogiochi, se indirizzati correttamente, possono essere veicolo di condivisione, educazione, apprendimento e addirittura soluzioni in alcuni casi di disturbi dell’apprendimento, come ampiamente documentato da studi medici ufficiali.
Tale new deal favorirebbe nelle bambine e nelle ragazze l’identificazione in questo mondo anche dal punto di vista prospettico-occupazionale. E tale maggiore presenza non farebbe altro che giovare al mondo stesso dei videogiochi perché arricchirebbe di nuovi contenuti, peculiari delle donne, un settore sinora appannaggio degli uomini. Una presenza organica e non solo sporadica delle donne sarebbe fondamentale in un ecosistema che, per le sue caratteristiche globali ha tra i suoi principali obiettivi l’essere inclusivo; pertanto le competenze creative tipicamente femminili garantirebbero una maggiore visione e ricchezza nei contenuti dei prodotti, con un probabilissimo incremento in materia d’introiti commerciali per gli editori.
A tal proposito le organizzazioni degli eSports dovrebbero adottare politiche e pratiche che promuovano l'inclusione e la diversità di genere, come quote per la rappresentanza femminile nei team o programmi di mentoring per le giocatrici emergenti. Inoltre, sarebbe importante proporre modelli positivi femminili nel settore, sia attraverso la visibilità mediatica che attraverso programmi di sensibilizzazione e educazione.
Tuttavia questo non è sufficiente se non accompagnato da una componente politica efficace. Occorrono misure efficaci per favorire le aziende del settore che occupano donne, con particolare attenzione nei confronti delle PMI, spesso fondate da giovani. A tutto ciò è necessario si accompagnino anche in quest’ ambito misure sulla parità di retribuzione su cui già molto si è fatto a livello europeo.
Le scelte politiche di carattere “impositivo” non sono sicuramente quanto di più positivo ci sia ma, per cambiare rotta in un ecosistema poliedrico come quello degli Esports, servono, almeno in fase di avvio, misure inclusive ed educative sulla diversità di genere: solo così sarà possibile ridurre il divario di genere negli eSports e creare un ambiente più equo e accogliente per tutti i partecipanti.